Prendo spunto da un evento che si sta svolgendo in questi giorni, il censimento periodico dell'agricoltura, di cui tutti abbiamo appreso dai media, per promuovere una riflessione comune. Prescindendo dal fatto di essere o meno coinvolti direttamente dal problema agricolo, il punto su cui volevo soffermarmi è se oggi, 2010, ma ancor più ovviamente negli anni a venire, siano ancora validi e replicabili i metodi e gli schemi mentali con cui sinora si sono affrontati temi di ordine generale, come possono essere, per fare un esempio, proprio quelli del verde, dell'agricoltura, del paesaggio.
Se finora abbiamo assistito a condivisibili, quanto scontati, incontri tra esperti, in cui si elencano i numeri della “disfatta”, ovvero: si quantificano i metri quadri di verde che vanno sparendo, si illustrano le difficoltà di sopravvivenza del mestiere di agricoltore, si proiettano diapositive che contrappongono, in una tautologica e sterile antitesi, immagini di cantieri, industrie, gru, a quelle di alberi, ruscelli, distese di grano, animali che brucano; se finora dunque, ci si è limitati ad analizzare il presente dicendo “ecco dove siamo arrivati...”, forse è giunto il momento di cambiare rotta, di attrezzarci con nuovi strumenti mentali e di introdurre uno stile di pensiero un po' meno stereotipato.
Analizzare i problemi del presente, deve significare inevitabilmente riflettere sul perchè questi problemi ci sono. E per farlo correttamente, non si può né prescindere dallo studio del passato, né dal prevedere come si svilupperà il futuro. Dovremmo impegnarci per cercare di individuare e comprendere “le leggi” che caratterizzano i processi storici. Gli strumenti necessari per farlo ce li fornisce,a mio avviso,non già uno stravagante ricercatore dei giorni nostri, ma una corrente di pensiero sviluppatasi in Francia all'inizio del '900, quella de Les Annales (una rivista che ancor oggi continua ad occuparsi del rinnovamento degli studi storici e delle scienze umane, in ambito internazionale).
Vorrei citare al riguardo, un autore che per la sua attenta e critica visione della storia, è a pieno titolo annoverato tra i grandi studiosi francesi: Marc Bloch, fondatore della rivista assieme a Lucien Febvre. Scriveva Bloch nel suo libro Apologia della storia o Mestiere di storico (di cui consiglio la lettura nell'edizione a cura di G. Arnaldi, Piccola Biblioteca Einaudi,1999): “La storia è per sua natura scienza del cambiamento (...).Essa riconosce nella natura umana elementi, se non permanenti, almeno durevoli (...) ed è per questo che può cimentarsi nel tentativo di penetrare l'avvenire”.
Con ciò Bloch intendeva dire che: “esaminando come ieri è stato diverso dall'altro ieri, e perchè,la storia trova in questo raffronto la possibilità di prevedere in che senso il domani, a sua volta, si opporrà all'ieri”.
Ma Bloch, nei suoi famosi studi sull'agricoltura medievale, aggiunge anche che la storia appartiene alle scienze umane, che il suo oggetto sono gli Uomini, che dietro ad ogni avvenimento, credenza, invenzione o tecnica, esiste l'Uomo, la sua coscienza e la sua mentalità e, come viene riportato da Lucien Febvre tracciando un suo profilo di Bloch, egli sostiene anche che: “Ci sono i campi, gli strumenti,le macchine... ma dietro a tutto questo ci sono gli uomini, le persone umane. E quel che la storia deve cogliere, sono precisamente le persone. Chi si arroga il nome di storico, ma senza il bisogno di trovare l'uomo là dove esso è,(…)non è che un erudito." Uscendo dai limiti cronologici di un periodo che egli conosceva profondamente, Bloch ci fornisce uno strumento validissimo per inquadrare le nostre problematiche in modo metodologicamente corretto: non possiamo rifiutare a priori i cambiamenti che il futuro ci riserva e non possiamo aspirare al cambiamento senza pensare di pagare qualche piccolo pegno. Dobbiamo invece occuparci,come priorità assoluta, dell'Uomo, per consentire che un ingegno responsabile divenga consapevole promotore di quei valori comuni che sono il primo patrimonio da valorizzare.
Ragionando in un'ottica di strumentalità tra passato e futuro,l'Uomo del 2010, con i mezzi e i supporti di cui dispone, credo non abbia più il diritto di sedersi in una sala, davanti ad uno schermo, assistendo passivamente alla proiezione di un filmato che raffiguri un “wonderful world che non esiste più, o non ancora”, ma abbia il dovere di usare tutte le risorse, intellettive, tecnologiche, digitali, che la cultura contemporanea gli mette a disposizione, acquisendo una nuova forma mentis che inquadri i problemi con nuovo senso critico e decida di affrontarli con costruttiva creatività.