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martedì 20 dicembre 2011

Landscape watchers, i guardiani del paesaggio

Si moltiplicano gli appelli al Governo e al Presidente della Repubblica per accrescere l'attenzione sul paesaggio italiano e richiedere politiche di tutela e azioni di sensibilizzazione sociale.
Mantenere integro il paesaggio è una priorità per noi e per il futuro. E' un impegno che deve coinvolgere chi decide e chi invece nei paesaggi vive. Si perchè il paesaggio è un sinonimo di luogo, e nei luoghi la gente vive, lavora e si incontra per sviluppare relazioni sociali. E' superfluo ricordare che Commonlands ha molto a cuore il paesaggio, come molte altre associazioni italiane del resto. Pochi mesi fa ha realizzato nel comune milanese di Albairate la prima ricerca di neuromarketing per "certificare" l'impatto emozionale del paesaggio, il test è servito per arricchire il PGT di un approccio scientifico  - anzi neuroscientifico - a supporto delle decisioni di future destinazioni degli spazi extraurbani. Tutto ciò è bello, ma non basta! Occorre aumentare la consapevolezza sociale riguardo alla necessità di tutelare il paesaggio. Occorre anche promuovere strumenti nuovi di stimolo ai decisori con il coinvolgimento "dal basso" che portino il tema dalla tutela e, aggiungo, della valorizzazione del paesaggio come risorsa anche economica nei primi posti delle agende della politica locale e regionale.
In sostanza, occorre creare delle figure che svolgano a livello locale la funzione di "guardiani" del paesaggio, dei veri e propri Landscape Watcher, che in ogni comune italiano tengano attivo il controllo sul paesaggio, ne verifichino lo stato e segnalino i problemi e le aggressioni. Commonlands attiverà a breve un blog per raccogliere le testimonianze in arrivo e a fine anno pubblicherà un ebook (Libro Bianco sul paesaggio italiano) contenente i casi più critici ma anche gli interventi virtuosi.
Il programma Landscape Watcher partirà ufficialmente il 20 gennaio 2012 con la presentazione del programma e delle iniziative previste per il lancio.

venerdì 16 dicembre 2011

Cronache dalla Tanzania


Ho il piacere di pubblicare l'email di Giulia che si trova in Tanzania e racconta, quasi in tempo reale e con grande semplicità e trasporto emotivo la propria esperienza in un mondo che nonostante Internet resta distante.  
Grazie Giulia

Ciao, 
ci sono degli sprazzetti di internet.
Vediamo se riuscirò a mandare questo saluto tanzanotto.
Tutto bene, sto scrivendo in maniche corte!
In realtà sta iniziando la stagione delle piogge e c’è spesso un cielo dublinese, ma si sta proprio bene come temperatura, mi sembra di essere ad Asiago in estate. Un bel temporalone al giorno che con il tetto di zinco fa un rumore fortissimo, divertente.
Che racconto... che l’Africa ogni tanto fa proprio bene, altro che servizio militare.
Ti richiede una pazienza infinita, ti scombussola e contraddice parecchi criteri di giudizio, ti ricorda che ci vuole poco, quasi niente. A me piace.
Il villaggetto è simpatico, piccolino. Sembra un presepietto, animali, gente, case, negozietti tutti vicini vicini vicini.
C’è una città grande non troppo lontano (fatto un paio di gite) quindi qui c’è gran varietà di ingredienti, mai mangiato riso e fagioli.
La guest house dove sono è gestita da donna Teresa, arzilla e spettacolare 84enne dalla Valle D’Aosta che tiene ben sull’attenti le cuoche, giardinieri e tuttofare. A suo agio con email e skype, una bomba.
Sono stra adorata da Sherif, il cane della casa. Non si capacita ancora di essere coccolato un pò, mi sta sempre addosso . gni volta che lo vedo gli raccomando che non voglio vedere nemmeno un lombrico qui intorno. Pare siano diffusi i cobra qui, ne hanno ucciso un paio poco tempo fa (non ho voluto sapere dove li hanno trovati) e ne hanno visto uno settimana scorsa lungo la strada. Ma l’importante è che io non li veda. Me la sto cavando molto bene con le lucertolone giganti (ma proprio grandi) dai colori impossibili.
Le becco spesso che fan flessioni, assurdo, van su e giù velocissime con le zampone anteriori. Ci tengono proprio.
Ritmi tranquilli dai... e non è che mi sto proprio affannando o cosa.. se non hanno voglia di darmi i dati, li recupero dal lavoro fatto a maggio nell’altro ospedale.
Questo ospedale è più grande, mi sembra molto incasinato... eppure ho scoperto che c’è stato pure un progetto di cooperazione giapponese per l’applicazione del Kaisen. Va beh ... la stessa cooperazione pone grandi questioni a volte.
Se dopo due settimane saltano ancora fuori per caso nuovi nomi di persone che lavorano nell’ospedale e quelli dell’amministrazione non hanno voglia di fare una lista completa di tutti i nomi, beh... chi c’è c’è e chi non c’è, “pole”!
Pole è la parola in swahili che mi piace di più e che sto usando alla grande... vari significati: “mi spiace”,  “C...I tuoi” e “piano”, perfetta per quasi tutte le situazioni insomma.
La valigia è arrivata una settimana dopo di me, era stata data per “scomparsa” i primi 4 giorni, bella sensazione.
E  fino all’ultimo una sofferenza... dalla capitale l’hanno mandata qui su una specie di autobus che è arrivato ore ed  ore in ritardo causa camion di traverso sulla strada.
Ma questo ritardo mi ha dato modo di scoprire il locale figone della città... MIAMY BEACH.
La faccio breve, seratona indimenticabile grazie al Cetto Laqualunque di Iringa, un ippopotamo dalle sembianze umane che ha pagato per tutti dentro il locale.
Unico nel modo in cui estraeva una banconota alla volta e la sbatteva sul tavolo (pezzettini piccoli cosi la cosa è durata un sacco di tempo). Non ho potuto rifiutare una bottiglia di vino (aceto zuccherato, non son riuscita a mandarlo giù, impossibile) e non sentire le doti da imprenditore..continuava a dirmi che lui fa “wood e shops”. Alla fine ho capito che gestisce il traffico nero di legname pregiato della zona e controlla il pizzo dei negozi della città. Ha il suo bel da fare.
Poi è saltato fuori un tipo dall’italiano perfetto (con accento bolognese), 3 anni in Italia con Enel , cose varie ma la chicca è il suo viaggio con un amico in motocicletta: Iringa-Ferrara (Italy). Temo sia vero. 3 mesi. Tanzania, Kenya, Ethiopia, Sudan, Egitto, Grecia (traghetti vari), Bari e su... son riusciti a far resuscitare la moto 5 volte.
Insomma, quasi quasi speravo che la valigia ritardasse ancora.
Altra cosa degna di nota.... mio nuovo record. 5.45 di messa in swahili. Che se contiamo i balli e processioni fuori dalla chiesa prima di entrare fanno 7 ore.
Entrati in chiesa alle 10, usciti alle 15.45. Il tutto su banco di legno senza schienale. Ho avuto momento di crisi forte alle 13 poi... beh, perso la cognizione spazio temporale e mi veniva da ridere. Festeggiavano il 25esimo di varie suore, l’entrata di  qualche nuovo pretino giovane. Parenti venuti in autobus dall’Uganda, spettacolare. Le suore addobbate come alberi di natale, festoni di natale al collo, collanone fiori plastica terrificanti in testa. Alla suoretta più vecchia han fatto coroncina con lucette di natale. Le varie foto venivano fatte vicino presa corrente per poter accendere le luci e quindi la suora. Favoloso.
Dublino me la sento molto lontana ma la mental health neanche tanto... due settimane fa salvata per un pelo bimba di un mese sotterrata viva dalla madre.
Anche questa è Africa, sì. Va dosata. Europei calati in queste realtà x troppo tempo... niente da fare, li vedo quasi tutti inaciditi ed incattiviti dalla stanchezza e lontananza. Mi sento privilegiatissima poter fare questi intervalli brevi, ottimi.
L’altro giorno chiedo ad uno degli italiani qui se rientra per Natale e mi risponde “cosa vuoi che rientri per sentirmi fare le solite cretine domande sull’Africa”.
Se un giorno mi sentirete dire una cosa del genere, tiratemi pure una sberla e preoccupatevi, Grazie. Io torno volentieri per Natale (niente Zanzibar, amen) e spero raccontarvi altre chicche!
Intanto continuo a far scorta di frutta buona buonissima che ci sarebbe da commuoversi mentre la si mangia.

sabato 17 settembre 2011

Il paesaggio non può attendere

Questa settimana Commonlands, in collaborazione con 1to1lab, ha partecipato attivamente al dibattito sul valore del paesaggio presentando ad Albairate (Mi) i risultati della prima ricerca di neuromarketing realizzata a supporto della realizzazione del PGT (Piano di Governo del Territorio) del Comune di Albairate. Il convegno si è svolto il 16 settembre ed è stato preceduto da una conferenza stampa il lunedì precedente, in una giornata di sole e cielo azzurro, su un battello, solcando il Naviglio Grande. Ecco, di seguito, una testimonianza video tratta dalla webtv Città Oggi: www.cittaoggi.tv/video/naviglio-battello

venerdì 9 settembre 2011

Trabucchi e cemento, la morte del drago

Capita a tutti di organizzare i propri ricordi legandoli a particolari immagini o ad emozioni forti. Lo fanno i bambini nella fase iniziale del loro percorso di comprensione della realtà, si creano dei prototipi che svolgeranno la propria funzione di decodifica per tutta la vita costituendo per la persona un patrimonio cognitivo di grande importanza. Il trabucco è per me un prototipo.
Lo è diventato negli Anni Sessanta quando ho avuto la fortuna di abitare nei pressi della costa molisano-abruzzese. In quegli anni ho scoperto il mare e le sue bellezze, tra queste la strana ma affascinante architettura del trabucco. Ricordo ancora la prima volta che lo vidi. In realtà lo registrai prima con gli occhi della fantasia e poi gli diedi il significato funzionale di strumento per la pesca. Il trabucco era un drago di terra, con il lungo collo proteso verso il mare alla ricerca di qualche incauto marinaio da catturare e mangiare. A quell’età da adolescente l’idea che si trattasse di mezzo per pescare mi appariva riduttiva rispetto al grande potenziale emozionale evocato dal “drago”. C’erano trabucchi dovunque, dal Gargano fino ad Ortona, un vero invasione di pazienti rettili primordiali che popolavano la costa e che guardavo con rispetto dai finestrini dell’auto quando percorrevamo la statale adriatica. Due anni fa, durante un viaggio in India per la precisione a Cochi nello stato meridionale del Kerala, mi è capitato di incorrere in uno strumento di pesca, del tutto analogo al trabucco, ancora utilizzato per la pesca.
Nonostante le differenze, frutto di tradizioni ed esperienze millenarie, quello per me era prima di tutto un trabucco e poi, naturalmente, un drago ancora attivo. I pescatori keralesi nel vedere il mio interesse mi chiesero di partecipare ad una sessione di pesca salendo sul palo di contrappeso per dare un contributo decisivo al movimento di immersione della rete in acqua e di estrazione. L’esperienza è stata utile e anche divertente. Intanto perché ho capito finalmente come funzionava il trabucco e poi perché ho sperimentato quanto duro lavoro si nasconde dietro questi strumenti frutto dell’ingegno creativo dell’uomo. Il trabucco, come tanti altri artefatti elaborati dagli umani per sopravvivere, merita senza dubbio il massimo rispetto. Poche settimane fa, sono tornato a Vasto per un breve periodo di vacanza. In realtà si è trattato di una bella occasione per fare alcuni percorsi cicloturistici tra le strade abruzzesi abbinando serate interessanti sul piano culturale (bella la manifestazione Book and Wine) e gastronomico… Ma non solo. Ho avuto la fortuna di incontrare e conoscere persone che amano la propria terra e la proteggono dagli assalti del cemento e del degrado. Gli Amici di Punta Aderci (www.amicidipuntaderci.it) sono certamente tra questi. Si tratta di un’associazione di appassionati ambientalisti che si sono prefissi di difendere lo splendido ambiente di Punta Aderci (un tratto di costa bellissimo presso il porto di Vasto) dai tentativi continui da parte delle forze del male, quelle forze che Salvatore Settis considera come la causa della malattia del paesaggio italiano. Ho aderito senza pensarci all’associazione che esprime a livello locale lo stesso spirito che anima Commonlands e che ci vede più che sensibili all’integrità del nostro patrimonio paesaggistico. Ma, le forze del cemento a volte riescono a completare il proprio disegno diabolico.
Lo hanno fatto proprio a danno della costa prospicente un trabucco, si proprio quel trabucco che da decenni è un riferimento cognitivo per me (ma per migliaia di altre persone). Il drago della mia infanzia è stato recintato da un muro di cemento che lo isola dall’entroterra e priva tutti noi di quell’immagine selvaggia e armoniosa che lega quell’artefatto millenario al proprio ambiente. Il danno non è, naturalmente, economico. E’ una lacerazione del mio, nostro immaginario cognitivo che così alterato non potrà fornire più alimento alla fantasia dei sognatori di draghi. Peccato!

mercoledì 3 agosto 2011

I sapori dei saperi

L’espressione cultura del territorio va oggi di gran moda e non solo nelle cantine e nelle cucine, ma anche nelle assisi politiche o in coloro che per far fronte alla disgregazione dell’economia globale, ad essa vogliono opporre il recupero della ricchezza delle produzioni locali che si esprime o con la difesa nazionalistica dei frutti dell’italico ingegno o con la poco felice e un po’ oscura formula del glocalismo.
Preferisco invece pensare all’idea di diversi territori connessi, passando quindi dall'espressione "nostro territorio" a quella di "nostre connessioni territoriali" intendendo in questo modo la possibilità di contaminazioni tra realtà locali distanti che si integrano in una realtà più estesa, un locus fluidus, che non sia indefinito, ma che possa avere molte e diverse definizioni, molti e diversi con-fini, intesi simultaneamente come perimetri e finalità, ma non come frontiere.
L’uso del termine cultura in generale non mi piace né con la maiuscola né senza. Puzza di scuola (le scuole puzzano di pessimi detersivi, ormoni instabili, idee stantie, ignobili motivazioni e - spesso - insegnanti sciatti), di insopportabile - per me che pur sono liberale - pensiero crociano. Mi piace di più l'idea di sapere e saperi. Perché? Perché c'è quella radice sap che li accumuna ai sapori e che deriva dal sale. Il sale dell'intelligenza che dà sapore al sapere. Il sapere si gusta, come le cose buone. Il sapere è volto al futuro, la Kultura al passato; il sapere è generativo, la Kultura fa compiacere delle proprie riflessioni; il sapere si proietta verso gli altri, spinge alla collaborazione, alla ricerca, la Kultura ne è la cristallizzazione spesso intimista. Secondo me la fase progettuale di un'iniziativa allo stato nascente è quella della ricerca e creazione dei saperi, quella dei giorni che precedono il sabato della Genesi.

mercoledì 22 giugno 2011

Diario di Bordo di Francesco Gallucci

In giro per la città assorbendo colori, suoni, odori e paesaggi in un turbinio senza fine. Palermo va dritta al cuore e mi cattura anche se provo ad opporre la resistenza della ragione. Non funziona! Palermo è come Nuova Delhi o Istambul, tutte città che ti parlano con il linguaggio dei sensi e delle emozioni (la ragione viene dopo, molto dopo). Palermo ha tutte le carte in regola per diventare un "marca emozionale" come Firenze e forse come Venezia. Gli ingredienti ci sono tutti: cultura, storia, arte, cibo e gastronomia di grande tradizione (ne so qualcosa), paesaggi (che vista dall'eremo di Santa Rosalia!), accoglienza, capacità, anzi, voglia di relazione tra le persone, voglia di aprirsi al mondo e di entrare a pieno diritto e da protagonista nel novero delle città imperdibili. Voglia di crescere e capacità imprenditoriali non mancano di certo. L'incontro di presentazione del mio ultimo libro "Marketing emozionale e neuroscienze" (Egea 2011) organizzato da Simona Pantaleone presso la Libreria Flaccovio è stato molto stimolante, tante domande e molti i temi sollevati dai partecipanti. Segno di una vitalità intellettuale che la città esprime e che deve trovare sbocchi in nuovi progetti e idee innovative. Ammetto che l'argomento che più mi intriga ( e non da adesso ) è lo sviluppo del "centro commerciale naturale", ovvero come riappropriarsi di un modello tipicamente italiano e centroeuropeo del tardo medioevo che il consumismo di matrice americana ha rielaborato nella forma che ben conosciamo degli shopping center. Dopo un quarto di secolo di proliferazione dei centri commerciali naturali ora si cominciano a vedere le prime crepe, le disfunzioni cognitive (ansia, stress) che lo shopping concentrato in poco tempo e in poco spazio stanno creando nei consumarori post-moderni, a Palermo come a Milano. In questi 25/30 anni si sono formate almeno due generazioni consumarori postoderni: i più "anziani" che però da piccoli venivano portati a fare shopping seduti nei carrelli della spesa tra detersivi e cioccolatini e I "nativi digitali" che stanno elaborando una visione del mondo, quindi anche dei luoghi dello shopping, che è fatta più di "bit" che di "atomi", ovvero il mondo come rappresentazione fisica dei soggetti e dei prodotti che vivono in Rete. Quest scenario è destinato ad ulteriori evoluzioni (imprevedibili) con l'avvento delle terza, quarta, quinta generazioni nuovi consumatori. Come fare a reindirizzarli, anche se parzialmemte, sugli "atomi" ovvero sulle strade del centro di Palermo, recuperando il piacere di visitare I negozi, I musei, le piazze o I ristoranti? E come fare a rendere visibile e appetibile Palermo per quel miliardo e più di neo turisti mondiali (in gran parte già abitanti della Rete) al punto da indurli a scegliere di spendere un budget da 4 mila euro per portare la famiglia da Bombay a Palermo? Naturalmente ho qualche idea su come farlo (il riferimento alle emozioni è inevitabile). Tuttavia vorrei aprire un dibattito, coinvolgendo prima di tutto le persone che ho incontrato a Palermo on questi giorni ma anche chiunque ne abbia voglia o abbia il desiderio di esprimere le proprie idee e condividerle. Grazie a tutti

venerdì 29 aprile 2011

Al via il primo progetto!

Partendo da queste prime iniziali riflessioni, Commonlands inizia oggi un percorso di studio sul tema del Paesaggio (“common” per eccellenza!) e propone a tutti coloro che seguano con interesse l'argomento, di partecipare ad un dibattito culturale che si articolerà in incontri, sondaggi on line, articoli a mezzo stampa o blog. Sarà ben accetto qualunque contributo in termini di commento, confronto, proposta di approfondimento, che soci e simpatizzanti vorranno far pervenire al nostro blog.

Grazie a tutti!


Il Segretario Generale

Cristiana Clementi



Una nuova prospettiva per il Paesaggio


Ne leggiamo, ne disquisiamo in contesti culturali, ne dibattiamo in sedi amministrative e politiche, ipotizziamo interventi per tutelarne e salvaguardarne l'integrità: stiamo parlando del PAESAGGIO. Ma in realtà, ci siamo mai chiesti sul serio: che cos'è veramente un paesaggio?

Chi se ne è occupato da un punto di vista professionale (Ugo Morelli, Paesaggio e mente, Bollati Boringhieri, Torino, 2011) nell'ottica della psicologia sociale ed ambientale, ha tracciato un profilo molto netto del concetto di paesaggio, che può fornire un valido contributo per ridefinire le mappe mentali con cui tutti noi siamo abituati a ragionare.

Innanzi tutto cosa non è un paesaggio: non è un out of there, non è un altrove, estraneo ed esterno all'uomo che lo osserva. Non è nemmeno l'uomo che lo osserva: l'essere umano che guarda non è in grado, da solo, di realizzare appieno il significato di questo termine, che si rivela essere non il frutto di una semplice attività cognitiva, ma la risultante di un processo di apprendimento che scaturisce dall'intreccio di una serie di relazioni: uomo/natura, corpo/mente, interno/esterno.

Come ogni processo di apprendimento, anche questo va seguito, educato e formato in modo appropriato. Si capisce quindi quanto educazione e formazione in questo ambito, svolgano un ruolo particolarmente delicato: sarà il modo in cui ciascuno di noi riuscirà ad elaborare mentalmente il suo concetto di paesaggio, che garantirà la capacità di operare scelte oculate anche in tema della sua vivibilità. E per poter parlare di una definizione adeguata, sarà indispensabile accantonare il vecchio paradigma che pretende di scindere dimensione cognitiva da dimensione affettiva: un paesaggio non è e non può essere considerato, se non come il prodotto della relazione tra quanto vediamo e quanto ci rappresentiamo, tra quanto viviamo e le scelte che individualmente o collettivamente effettuiamo.

Ancor prima di essere quello che ci circonda e che vediamo, il paesaggio è dentro di noi.



giovedì 17 marzo 2011

150° anniversario: un augurio al nostro Paese

In una giornata speciale come questa, un augurio in più all'Italia non può certo far male. Ma che dire, ancora, che in queste ore non sia già stato espresso? Approfittiamo allora per formulare una promessa, anzichè un augurio, come si fa in tutte le occasioni importanti in cui si voglia solennizzare l'evento sottolineando il proprio impegno: ripromettiamoci di far sì che questo nostro Paese sia sempre, realmente, tenuto unito da quel meraviglioso legame che solo la CULTURA rappresenta. Ma non la cultura del pezzo di carta, del grado di istruzione elevato, bensì la tradizione culturale italiana, quella che il mondo ci invidia, fatta di persone, di opere, di città, di ingegno e creatività.
La Cultura produce conoscenza e la conoscenza genera apertura mentale: non ci sono armi migliori di queste per difendere un Paese e renderlo sempre migliore.
Auguri Italia!

lunedì 3 gennaio 2011

Che fare?

"Prima di preoccuparti di fare soldi assicurati che il tuo prodotto sia buono e che chi lo usa sia felice"; lo afferma E. Williams guru del social network. E' una frase apparentemente semplice e scontata ma, in questi tempi di crisi economica e sociale globale, dove politici, economisti, uomini di governo, scienziati, sociologi, tuttologi (e chi più ne ha più ne metta!) si affannano a trovare ricette vincenti, arrampicandosi in analisi spericolate, forse il ricorso al semplice buon senso sarebbe opportuno. Non sarebbe male stare di fronte alla realtà ancorati a qualche saldo "vecchio" riferimento: dare fondo alla creatività orientando lo sguardo ai destinatari del nostro lavoro, cercando la loro soddisfazione, così come avrebbe consigliato un vecchio artigiano al suo giovane apprendista. Chissà che di fronte alla complessità del mondo globale non possa essere questa la soluzione. Magari non solo in economia...